Giovani Verso Assisi - a cura del Centro Nazionale di Pastorale Giovanile e Vocazionale  

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28° CONVEGNO NAZIONALE
31 ottobre - 4 novembre 2007

CRONACHE E INTERVISTE

31 OTTOBRE

Cronaca di Roberta Leone

 

21:00 Comincia con una veglia presieduta dal Custode del Sacro Convento, fr. Vincenzo Coli, la 28a edizione di Giovani verso Assisi, il convegno che ogni anno porta nella città del Poverello giovani – francescani e non – da ogni parte d’Italia. Tema di quest’anno, il brano dal vangelo di Matteo: “Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio”. Nel clima di raccoglimento creato per loro in una Basilica Inferiore disseminata, per l’occasione, di cuscini e popolata da più di duemila ragazzi, dà il via alla riflessione dei quattro giorni di incontro l’invito accorato di p. Coli a saper cercare la pace attraverso le vie della giustizia, verità, solidarietà, libertà.
I quattro fondamenti della pace che papa Giovanni Paolo II aveva indicato nell’enciclica Pacem in terris tornano con forza parlare alle coscienze, nella città che lo stesso papa ha reso simbolo del dialogo, con i due storici incontri interreligiosi dell’86 e del 2002. “Non abbiate paura. La pace è possibile” è la conclusione del superiore della comunità dei frati del Sacro Convento. Parole di incoraggiamento, che sembrano dare eco alle tante voci dei ragazzi incontrati fino a quel momento: per Gennaro, 24 anni “la pace è quel che ci dona libertà, armonia verso noi stessi, verso la creazione, verso Dio. E la presenza di Francesco, che è un maestro di pace, è un aiuto in più per comprendere ciò che è veramente importante nella vita, al di fuori di tante futilità: l’amore e la libertà sono la base e l’apice di tutto”. Per Gianluigi, 17 anni, arrivato ad Assisi con alcuni amici: “questi giorni sono un’esperienza magnifica: si fa subito gruppo, si sta insieme agli altri, si canta con loro, si gode la bellezza di questi luoghi, di questa splendida basilica, tutto con molta semplicità. Quest’anno – il secondo per me qui al Convegno - vorrei trovare prima di tutto pace con me stesso. E Assisi, anche in soli cinque giorni, sa ridarti la libertà, la pace”.
Michela e Teresa sono due amiche, entrambe 23 anni, entrambe di Imola. Michela è al suo settimo convegno: “Cosa mi aspetto da questi giorni? Non di trovare la pace, ma di capire un poco cos’è per sapere dove andare a cercarla. La pace – per quello che ho imparato nella mia esperienza – è decidere di amare anche quando si fa fatica”. Teresa è alla terza esperienza ad Assisi, invitata da Michela: “In questi giorni cercherò un po’ di pace per me, per poterla portare nei luoghi della quotidianità - a lavoro e in famiglia - dove si fa sempre un po’ di fatica”. “Cosa è in grado di togliere la pace?” le chiediamo. “Nel mio caso – risponde - non sentirsi di fare la strada che il Signore vuole per te, sentire che quello che fai non ti dà pace, equilibrio. Ma Francesco spiazza, in tutti i sensi: per cui lui, che è stato un uomo di pace, può aiutarmi ad imparare la pace”.
 

1 NOVEMBRE

Cronaca di Roberta Leone

 

Ore 9. “Dov’è la felicità? Dov’è la perfetta letizia? Non è nel consenso, non è nelle cose..” Apre con un tema caro alla tradizione francescana l’intervento di mons. Giampaolo Crepaldi, segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace. Nelle parole del relatore, Francesco trova la felicità nel perdere tutto, perché ha tutto. E il tutto è Dio. E – aggiunge – in questa perfetta letizia sta anche la sua pace. In altre parole, la pace non è che una manifestazione di Dio, da cercare, da interrogare, da paragonare al Dio uno e trino.
La Trinità, la relazione d’amore tra le tre persone che fanno la sostanza di Dio, spiega la vera natura della pace. La spiegano le due nature di Cristo: la pace – dice mons. Crepaldi – nasce nella categoria delle relazioni, e al di fuori di questa categoria non può essere compresa. “Pace è coltivare relazioni, e farlo nell’amore”.
La Santa Messa, presieduta da mons. Crepaldi nella Basilica Superiore, ha coinvolto i ragazzi sin dal primo pomeriggio in una riflessione tutta volta al concetto di santità: “La santità è possibile,ed è un traguardo a cui è chiamato ciascuno di voi”. Celebrando la solennità di Tutti i Santi, Mons. Crepaldi ha invitato i giovani a “farsi amici i santi”, coloro che sono passati alla storia per aver vissuto eroicamente, senza sconti, la fedeltà al Vangelo. Francesco, in questo, è l’esempio cui tutti possono guardare. Al termine della celebrazione, l’Adorazione eucaristica e, in serata, una veglia hanno chiuso le attività di questo primo giorno di convegno.
 

Internvista a don Niccolò Anselmi

 

Intervista a don Niccolò Anselmi, direttore del Servizio Nazionale di Pastorale Giovanile della Conferenza Episcopale Italiana.
di Francesca Fialdini

Con un anno dedicato al tema “Beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio”, al Convegno Giovani verso Assisi si torna a parlare ai giovani di giustizia e di pace. Non c’è il rischio di proporre formule astratte, espressioni generali che poco si adattano alla concretezza della vita quotidiana?

Nell’intervento di questa mattina, mons. Crepaldi ha detto una cosa interessante e cioè che la pace nasce da relazioni vere, di amore. In un certo senso vuol dire che la violenza, l’odio, la guerra, nascono ogni volta che non ci parliamo e non ci incontriamo veramente; quando viviamo come delle monadi, chiusi in noi stessi. Tragicamente, questo comportamento è una delle caratteristiche dell’uomo di oggi: la frammentazione, la relazionalità di basso profilo, sfuggire al dialogo tra singole persone, gruppi, partiti politici, parti sociali, governi nazionali, è la normalità. Da qui nascono le tensioni tra bande, correnti di pensiero, etnie. Tornare a parlarsi è la via più interessante per provare anche a vivere secondo giustizia e pace; è la provocazione da raccogliere.

La vita di Francesco d’Assisi per i giovani del duemila è una proposta fuori dal tempo?

E’ la prima volta che partecipo al Convegno Giovani verso Assisi. Certamente  queste strade, queste mura, queste case parlano di interiorità, raccoglimento e semplicità come forse da nessun’altra parte. Francesco, personaggio intero e innamorato dell’amore di Dio, parla ancora perché di fronte alla complessità di oggi suggerisce la via della semplicità; ciò non significa diventare “sempliciotti”, bensì essere unificati dentro. Egli è senz’altro una figura molto attuale.

Proprio questa complessità, conseguenza anche della globalizzazione, dell’innesto fra culture, usi e costumi, è il contesto dei giovani di oggi. Fra le molteplici provocazioni cui sono esposti, come possono cogliere la Bellezza?

Dobbiamo guardare in chiave ottimistica la capacità dei giovani di cogliere ciò che è bello. Anche di fronte ai tentativi culturali in cui l’utile viene messo al primo posto rispetto al bello, credo che sia possibile riuscire a vedere una bontà oggettiva, quella che Dio ha messo in ogni cosa. E’ lo sforzo che dobbiamo fare tutti: cercare di vedere la presenza di Dio in ogni cosa, evitando le divisioni. In fondo è l’insegnamento di Francesco: la presenza di Dio pervade l’Universo anche nella complessità del mondo attuale perché Dio è presente in ciò che c’è di più bello cioè l’uomo, la donna, la loro unione, l’amore…Il bello continua ad esserci perché Dio continua ad esserci.
 

Intervista a mons. Crepaldi

 

Intervista a Mons. Giampaolo Crepaldi, segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace.
di Roberta Leone

Mons. Giampaolo Crepaldi è segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace. Nell’intervista a Korazym.org a margine del Convegno Nazionale Giovani verso Assisi, il dialogo per la pace e lo spirito di Assisi, il diritto alla libertà religiosa e il ruolo civico dei cattolici in Occidente, tra chiusure e spinte laiciste.

Mons. Crepaldi, oggi parla di pace ad un’assemblea di duemila giovani riuniti ad Assisi per parlare di pace. Quali speranze ha per loro?

“Sono felicissimo di essere presente ad Assisi, con i 2000 giovani riuniti dai frati minori conventuali per questo Convegno, e sono contento che abbiano scelto la pace come argomento per il loro incontro. Ovviamente Assisi è una città ideale per una riflessione partecipata e approfondita sul tema della pace, innanzitutto perché è la città di Francesco, che è uomo di pace. In lui, che si converte e abbraccia il Vangelo del Signore dopo la tragica esperienza della guerra, il frutto della conversione non è la negazione dell’altro, ma la sua riscoperta, soprattutto la riscoperta del più povero. E direi che questi giovani, che hanno tutta la vita di fronte, ben motivati sul piano della fede e di un progetto di vita, che si ritrovano ad Assisi attratti da richiami forti – quello di Francesco da una parte, il messaggio di Giovanni Paolo II e quello di papa Benedetto XVI dall’altra - possono realmente coltivare il messaggio evangelico scelto a tema di questo Convegno: “Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.”

Assisi è città della pace anche per lo “spirito” che Giovanni Paolo II le ha riconosciuto. A che punto è la riflessione sul dialogo per la pace e quali prospettive ha oggi?

“Senz’altro questo è un significato strettamente collegato con l’identità di Assisi: nel 1986 e nel 2002 Giovanni Paolo II raduna qui i maggiori leader religiosi del mondo per una preghiera comune per la pace. Direi che uno dei grandi temi attuali della pace è la coltivazione del dialogo tra culture diverse e religioni diverse. In giro si sente spesso affermare che le religioni, anziché essere elementi o fattori di promozione della pace, sono le cause scatenanti i conflitti. Molti, per negare plausibilità pubblica alle religioni e mettere la sordina al diritto alla libertà religiosa, usano l’argomento delle religioni come “peccato originale”, originante i conflitti. Si tratta di una visione distorta, evidentemente ideologica. Una visione inaccettabile. Dobbiamo senza dubbio riprendere quel filo rosso che ha avviato Giovanni Paolo II in questa città: il filo del dialogo, della conoscenza e dell’accoglienza reciproca. Le religioni devono acquistare un ruolo pubblico e devono farlo giocando la carta della promozione della pace nel mondo. Se lo faranno, il mondo conoscerà finalmente una stagione non di pace totale, ma di maggiore tranquillità”.

Il ruolo delle religioni in uno spazio civico, oltre che collettivo, è al centro di un dibattito vivo in Europa e in alcuni casi reso difficile da molte chiusure. In Francia si discute ancora sull’opportunità dei segni religiosi nei settori di competenza dello Stato..

“Sì, è senza dubbio una situazione difficile. La realtà francese va trattata come un caso particolare, condizionato da tradizioni che - più che laiche - chiamerei laiciste. In linea generale, direi che occorre buon senso. Sono indubbiamente inaccettabili da una parte certi atteggiamenti di fondamentalismo, diffusi in una parte del mondo islamico, per cui l’affermazione della propria religione comporta una negazione del valore degli altri. Si ritiene di possedere la verità e dunque di poterla imporre. L’atteggiamento del cristiano di fronte al fondamentalismo è nettamente diverso: egli non possiede la verità, ma ne è posseduto. E dunque invita tutti a lasciarsi possedere da questa verità che è Dio stesso: una verità di misericordia, di accettazione, di perdono, di accoglienza. L’altro atteggiamento inaccettabile è quello di un certo tipo di laicismo, che afferma che la religione è un fatto privato e che lo spazio pubblico e civile non è aperto a faccenduole dell’anima e del cuore quali sono gli eventi religiosi riservati alle persone…E’ la ragione pubblica la loro ragione: sostanzialmente, la ragione dei moderni. Siamo davanti non all’affermazione di principi di laicità, ma piuttosto di un certo tipo di laicismo che definirei vecchio”.

Intanto, anche in Italia ha suscitato polemiche l’invito di papa Benedetto XVI all’obiezione di coscienza rispetto alla vendita di farmaci che negano la vita.. La crisi tocca anche questo Paese?

“Esattamente, è una situazione che investe anche l’Italia. Toccare il filo del principio di laicità al giorno d’oggi è toccare la corda più delicata nella gestione della vita democratica dei nostri paesi, soprattutto dei paesi occidentali”.

Quale laicità vorrebbe?

“Il principio di laicità è un principio cristiano, che purtroppo durante la Rivoluzione francese fu venduto dai francesi come loro, un po’ derogandolo. Il principio di laicità nasce con Gesù Cristo, che dice “date a Cesare quel che è di Cesare, date a Dio quel che è di Dio”. E nella prospettiva cristiana del principio di laicità, lo spazio religioso e quello civile non devono combattersi e essere l’uno la negazione dell’altro, ma devono collaborare per la promozione dell’uomo”.
 

2 NOVEMBRE

Cronaca di Roberta Leone

 

Ore 9.00. Dopo un primo giorno tutto teso alla ricerca “della vera e perfetta letizia”, dei fondamenti di una esistenza pacifica e capace di una relazionalità positiva, per il convegno Giovani verso Assisi oggi è la volta della dimensione “sociale” della pace. Il racconto scelto a icona dell’argomento, con la celebrazione delle Lodi del mattino, è uno degli episodi più noti della vita di San Francesco: la cacciata dei diavoli dalle mura aretine. L’esempio del Santo - operatore di pace in una collettività evidentemente angustiata dai mali di un regime di convivenza degenere - porta la riflessione del giorno su un piano sempre più concretamente aperto alla dimensione di impegno civile per la pace.
La discussione è  affidata all’intervento di due testimoni d’eccezione, Francesco Giorgino - giornalista Rai e firma di spicco della Rivista del frati del Sacro Convento – e fr. Danilo Salezze, presidente della Commissione Salvaguardia del Creato. Nell’intervento del giornalista, la necessità di una connotazione etica della pace contro i mali del relativismo e il monito da un’apatia che immobilizza il giusto slancio di impegno civile. “La pace – ha detto - deve essere intrecciata, nella sua prospettiva semantica, con altre parole che assumono per noi cristiani un significato addirittura più forte, perché a fondamento di questa stessa parola: carità e giustizia”. In particolare, Giorgino richiama l’attenzione a “quella concezione della giustizia che fa coincidere la medesima con il fine sociale - o fine ultimo - della società, e che dà il via a ulteriori considerazioni che portano verso una concezione solidaristica, necessaria perché si crei il presupposto stesso della pace. Coniugando la parola pace a giustizia e carità, questa comincia a caricarsi di una dimensione etica. La pace comincia a delinearsi nella percezione collettiva come un valore”.
D’altra parte, il tempo presente lascia osservare chiaramente i caratteri di contraddittorietà che lo attraversano, primo fra tutti quel “relativismo etico” denunciato da papa Benedetto XVI, che permette l’aggettivazione della pace in modalità a volte contrastanti, sicché non è raro sentire parlare di guerra “giusta”, “preventiva”, addirittura “etica”. E ancora, l’aumento della soglia di liceità nei comportamenti sociali, la negazione del peccato, il “presentismo” di chi vive in assenza di memoria e senza speranze per il futuro, l’apatia nell’adesione alla fede, una consapevolezza errata della reversibilità delle scelte, il distaccamento della famiglia dallo status di sistema di valori: come nella Arezzo ai tempi di Francesco, anche oggi una serie di mali angustia le nostre città. La risposta arriva dal magistero di papa Benedetto XVI – dal messaggio “La persona umana, cuore della pace”, datato 1 gennaio 2007 – “non può esserci una pace esterna se non c’è una dinamica che risolva il conflitto interiore in chiave etica.” In altre parole, la religione - fatto intimamente individuale e insieme collettivo - è chiamata ad una nuova stagione di impegno e di ruolo civile. E su questo impegno si giocano le sorti della pace.
Con l’intervento di fr. Danilo Salezze, l’attenzione va alla dimensione francescana della beatitudine di chi è operatore di pace e parte dall’interrogativo su come il Santo di Assisi vorrebbe vivere la speranza, che si traduce nel costruire pace. La risposta è nella ricerca di unità con tutti gli esseri simili e con il creato, perché in unità con il Padre. E’, inevitabilmente, nel riconoscere nell’umanità un universo di ferite e di bisogno della consolazione dal Padre. In questo senso, l’operatore di pace è un “mediatore della consolazione”. Citando Etty Hillesum, p. Salezze ricorda che “si vorrebbe essere balsamo per molte ferite”. “Chi di noi – chiede - non vorrebbe esserlo? Quando cominciamo a vedere le ferite degli altri, non ci limitiamo più all’idea della pace come un semplice fare: dare la pace ci coinvolge in un’altra maniera. Quando nella liturgia si dice “scambiatevi un segno di pace”, lì, in quel momento, si riassume tutto il significato di quel che celebriamo sull’altare,di quel che celebriamo nella vita: ci si dice “diventa mediatore della consolazione di Dio per la ferita tua e di tuo fratello”.
Terminate le relazioni, la riflessione si sposta ora nei gruppi di interesse sparsi nelle aule del Sacro Convento. Nel pomeriggio, alle 18:00, la Celebrazione eucaristica  presieduta da p. Piemontese, ministro provinciale di Puglia. Dopo cena, nelle due Basiliche, una lunga celebrazione penitenziale chiuderà la giornata. Segno di ringraziamento per il  sacramento celebrato un nastro bianco, che i ragazzi saranno invitati a legare intorno alle piantine d’ulivo collocate ai piedi della Tomba di San Francesco.

Per Ilaria - 23 anni, di Pordenone - “molto intensa e ricca di argomenti” la relazione di Francesco Giorgino: “tutte tematiche importanti, che sarebbe stato bello diluire in più tempo. Dalla sua testimonianza di giornalista porto con me la consapevolezza che nella realtà di tutti i giorni sarà impegnativo cercare di essere testimoni di pace, ammettere di voler esserlo sia con se stessi, sia con coloro che non la pensano come noi”. Francesca - 21 anni, di Roma - ci parla di una “giornata di riflessione e approfondimento particolare, sia per le parole di Giorgino - che ha toccato autorevolmente una serie di aspetti importanti per crescere nell’impegno per la pace – sia per il racconto di p. Salezze, che ci ha illustrato in modo molto concreto la prospettiva di San Francesco nel vivere la ricerca della pace”.  

“Per me – ci racconta Paola, 20 anni – quello della pace è un tema senza dubbio complesso, perché la stessa parola pace – ce lo ha ricordato Francesco Giorgino nel suo intervento - può avere una connotazione sia positiva che negativa. Il fatto stesso di essere “operatori di pace” per definizione è una scelta impegnativa e, sotto alcuni aspetti, complicata. Ho trovato molto interessanti le parole di Giorgino: si è addentrato con profondità nell’argomento, cercando al tempo stesso di contestualizzare idee e contenuti nella moltitudine di ingiustizie che vediamo nel mondo. Il fatto che sia giornalista gli dà una cultura che ha permesso anche a noi di ampliare un po’ gli orizzonti”. “Giorgino – le diciamo – ha parlato di un’apatia, presente tra i cristiani, capace di effetti più dannosi di quelli di una cultura atea: cosa ne pensi?” “Sono d’accordo” è la sua risposta. E continua: “Mi hanno detto che nella vita bisogna cercare di vivere, non di sopravvivere: in questo senso, l’apatia è un grande pericolo, perché non si ha lo spirito di andare avanti, continuare a  studiare e informarsi. Trovo che questo sia fondamentale specialmente per i giovani, perché non si può essere veri operatori di pace se non si ha in sé la voglia di camminare e cercare sempre”.
 

3 NOVEMBRE

Cronaca di Francesca Fialdini - Roberta Leone

 

09.00-13.00 Un appuntamento diverso, fra le colonne del Duomo di San Rufino piuttosto che nella Basilica di San Francesco. Un modo per ripercorrere simbolicamente i gesti del Santo che, rinunciando alla paternità di Bernardone, si fece benedire dal vescovo Guido per intraprendere la sua nuova vita. Oggi anche i ragazzi del Convegno Nazionale dei Giovani verso Assisi, partecipando alla celebrazione eucaristica, hanno ricevuto da mons. Domenico Sorrentino, attuale vescovo della città, una speciale benedizione e il mandato ad essere evangelizzatori dei loro coetanei, raggiungendoli nei luoghi della quotidianità e della festa senza vergogna di dirsi cristiani, parte di una piccola comunità sparsa di fedeli che nel mondo conosce la persecuzione e le ostilità delle ideologie post-moderne.

Proprio alla testimonianza e al coraggio mostrato da alcuni martiri del nostro tempo, i giovani hanno prestato ascolto e attenzione, prima grazie alla riflessione di Maddalena Santoro, sorella di don Andrea, ucciso il 5 febbraio 2006 a Trabzon, in Turchia, dalla mano di un giovane musulmano. Poi  attraverso le parole di un coetaneo libanese, invitato da frate Cesàr Essayan a raccontare come vivono i cristiani in un contesto pluriconfessionale; in un paese ancora traumatizzato dalla guerra e diviso da fazioni politiche spesso legate ad interessi sovranazionali. Sia nell’uno come nell’altro caso, i giovani sono stati sollecitati a porsi domande mature, relative ad un cammino di discernimento personale aperto alla conoscenza dell’alterità, vista come opportunità missionaria e occasione di conoscenza diventando ponte fra culture diverse.

E i ragazzi raccolgono la sfida, niente affatto spaventati dalle differenze e dalla distanza che li separa dai mondi di cui hanno sentito parlare al mattino. Ci fermiamo a parlare con alcuni di loro, chiediamo cosa vuol dire confrontarsi con realtà come quelle turca e libanese. “Sono realmente distanti? C’è un modo di avvicinarle?” “Come ci hanno detto oggi i nostri testimoni – risponde Paola, friulana di Maniago -  il bello è anche nella diversità. Noi cristiani non dobbiamo pensare di dover convertire i musulmani o viceversa. Non è giusto. Il bello sta nel saper vivere la diversità e nell’accogliersi reciprocamente, mantenere una propria individualità e apprezzare quanto gli altri hanno di bello e di buono. Per questo è importante farsi conoscere e conoscere anche altre realtà”.

Il momento per scambiare idee e impressioni su questi argomenti e quelli emersi nei giorni precedenti, è giunto nel pomeriggio quando, a partire dalle 16.00, i ragazzi si sono divisi in gruppi regionali presso luoghi tipici della città di Assisi come le aule del Sacro Convento o alcune sedi parrocchiali del centro. Poi la celebrazione dei Vespri e la serata di fraternità presso lo stabile “Umbria Fiere” di Bastia Umbra.

Termina dunque con una grande festa in pieno stile francescano l’ultima sera di convegno. E tra luci, musica dal vivo e frati e suore sparsi qua e là per il palco, lo spazio per “divertirsi pensando” non manca. Tanto che si può cantare a squarciagola Rewind (chi non conosce questo pezzo di Vasco di qualche anno fa??) e rendersi conto che il rischio di pensare solo al proprio assoluto, frenetico godimento è di non riuscire a vedere l’altro se non con “lo scorrimento lento”. Al termine della serata Roberto – 19 anni, da Massa, – ci dice: “Porto via con me una ricarica spirituale, ogni tanto bisogna farne. Assisi è una città particolare: quando si arriva ci si scopre abbastanza aridi, poi si va via come un terreno umidificato”. Gli chiediamo di dirci le parole più belle tra quelle ascoltate in questi giorni: “Stranamente è l’interpretazione di questa sera di “Rewind” - la canzone di Vasco – quella che ricorderò di più. Perché ha racchiuso in modo moderno il significato di quel che Assisi può dare: il capovolgimento di tutte le false opinioni. Anche questo aiuta ad essere operatori di pace. Per quel che mi riguarda, cercherò di impegnarmi per la pace nella vita quotidiana, partendo dalle cose più piccole. Forse, dall’apparecchiare la tavola per la mamma questa sera…”
 

Intervista a mons. Domenico Sorrentino

  Intervista a Mons. Domenico Sorrentino, vescovo di Assisi - Nocera Umbra - Gualdo Tadino
di Roberta Leone

Mons. Sorrentino, nel mondo c’è una grande richiesta di pace. D’altra parte sembra che le religioni vengano percepite come causa di conflitto. E’ una contraddizione? Come risolverla?

“Bisogna che si prenda sul serio l’impegno religioso: dove esso porta veramente a Dio, lì nasce anche la pace, perché Dio è amore ed è pace. Qualche volta l’impegno religioso resta superficiale o per mancanza di illuminazione - perché non si sa veramente chi sia il Signore e come lo si debba adorare – oppure perché le circostanze portano in una direzione più leggera e superficiale. E allora sì, ci può essere il pericolo che la religione diventi non strumento di pace, ma occasione di guerra. Grazie a Dio, quello che si vede in questi ultimi decenni è incoraggiante. C’è un gran bisogno di incontro: quello che è avvenuto qui ad Assisi venti anni fa con Giovanni Paolo II e che ha fatto scaturire ciò che chiamiamo lo “spirito di Assisi” è un grande segno di speranza. Si può convivere nella pace e nell’amore, ci si può e ci si deve ascoltare. Naturalmente, bisogna che ognuno sia un testimone fedele: noi cristiani abbiamo il dovere di annunciare a tutti che questo Dio della pace e dell’amore è il Dio che si è fatto carne in Gesù. E accoglierlo nella nostra vita non è mai occasione di guerra o di ostilità: al contrario, è la premessa di una pace più grande”.

Ha spesso parlato di un’Europa che perde sempre più il legame con le radici cristiane. La nostra è veramente una società civile se il diritto al culto è sempre meno considerato un diritto umano e civile?

“Dove non si rispetta l’anelito religioso profondo dell’uomo, dove non si dà spazio alla dimensione religiosa, fatalmente ci si condanna a una convivenza più povera, perché la dimensione religiosa è quanto di più alto possa esserci perché l’uomo possa essere fino in fondo se stesso. Naturalmente, una società con una convivenza plurale, ricca di culture e di religioni, deve imparare anche la logica del rispetto, ma questa non può essere la logica di una secolarità che dimentica l’aspirazione religiosa dell’uomo e il suo diritto a incontrarsi con Dio e a vivere di Dio anche nelle manifestazioni pubbliche della vita sociale”.

Da vescovo italiano, quale spazio di impegno civile vede possibile per i cattolici del nostro Paese?

“Dobbiamo essere molto coerenti e anche coraggiosi, direi fiduciosi nella testimonianza cristiana. Sappiamo che la testimonianza cristiana risponde alle esigenze profonde dell’uomo. Potremmo essere per un momento storico - più o meno prolungato - non capiti in questo. Dobbiamo credere profondamente che quando presentiamo le esigenze evangeliche non presentiamo le esigenze di una parte. Facciamo la difesa profonda dell’uomo per quello che l’uomo è. Lo si capirà forse più tardi. Non è la prima volta, nella storia, che il Cristianesimo è stato mal capito, male interpretato. Certamente, da parte nostra dobbiamo essere molto attenti, molto garbati, sempre rispettosi nel dire le ragioni del Vangelo come ragioni profondamente umane. Dobbiamo evitare ogni tentazione di presentarci con arroganza. Qui Francesco ci insegna a presentarci con la mitezza evangelica. Questo è lo stile vincente”.
 

4 NOVEMBRE

Cronaca di Roberta Leone

  8.30. La Basilica Superiore di San Francesco è pronta ad accogliere i giovani convegnisti per l’ultimo incontro in calendario al 28° Convegno Giovani verso Assisi: come ogni anno, è con una celebrazione eucaristica presieduta dal Ministro Generale dell’Ordine dei frati minori conventuali e con la consegna del mandato missionario che i giovani lasciano la città del Poverello per tornare alle proprie comunità. Quest’anno l’appuntamento porta la novità di un nuovo ministro generale – fr. Marco Tasca, eletto il 27 maggio scorso – che parlando dell’episodio di Zaccheo, pubblicano chiamato da Cristo, ha rivolto ai giovani queste parole: “essere operatori di pace non vuol dire partire dall’essere «a posto»: Zaccheo è un pubblicano attaccato al denaro, è un peccatore. Quando nella Bibbia si parla di peccato, si pensa ad un aspetto particolare, che è “fallire il bersaglio”. Al di là dei “peccati” che si fanno, “il peccato” è allora fallire il bersaglio, mirare cioè in modo sbagliato. Il punto è chiedersi cosa distoglie la nostra attenzione, qual è il bersaglio a cui miriamo”. Di contro, il racconto di Zaccheo parla di un Dio che, a dispetto di ogni resistenza, cerca l’uomo e lo chiama per nome. Qui, il problema – ammonisce fr. Marco Tasca - è “fidarsi, lasciarsi raggiungere, consapevoli che solo Dio sa quello che è bene per me”.

Infine, il racconto di Zaccheo è il paradigma dell’apertura giusta e responsabile all’altro, libera dai rischi di una fede personalistica: l’uomo che Cristo chiama è un pubblicano che restituisce quattro volte tanto alle persone di cui ha approfittato. Allora, “è un vero operatore di pace chi centra bene il bersaglio, chi si fida del Signore - che sa quello che è bene per lui-, è operatore di pace chi sa tessere nuovi rapporti con gli altri. San Francesco e i nostri santi ci aiutino e intercedano per noi”. Al termine della celebrazione, la consegna del mandato: un rosario in più colori, a ricordare la missionarietà della vocazione della Chiesa e la necessità di un’adesione piena dei cristiani ad essere operatori di pace nella preghiera e nella testimonianza.

A conclusione del convegno, sono tante le riflessioni da portare con sé, spesso affidate a qualche appunto sparso nel quaderno di viaggio. Mary, 22 anni da Pordenone, ci dice “Sul mio taccuino ho raccolto tanti stimoli, nati dalla preghiera e dalle parole dei relatori di questi giorni, da p. Salezze a Francesco Giorgino, a Maddalena Santoro, a Mario, il ragazzo venuto dal Libano. Ho scritto tutte le volte che ho sentito, nella loro testimonianza, parole potevano riguardarmi. Ogni incontro, ogni relazione dà qualcosa che ti tocca personalmente, che senti ti servirà per continuare il cammino. Naturalmente, è stato bello ascoltare gli interventi e le parole di questi giorni, ma è altrettanto importante saperli conservare per esprimerle al meglio”.

Le chiediamo con quale impegno partirà da Assisi. “E’ certamente un impegno importante – ci risponde - quello di trovare il proprio modo per essere realmente operatori di pace: che la strada sia facile o difficile è un fatto soggettivo, ma trovare il modo “vero” per diventare costruttori di pace - nella vita concreta, nella quotidianità anche al di fuori dei nostri ambienti parrocchiali - è certamente l’obiettivo da seguire”.

Michele, 24 anni, marchigiano di Grottammare, è al suo ottavo anno di Convegno GvA, da cinque anni in servizio nel coro. Raccontandoci il suo servizio, ci dice: “Partecipare al Convegno e farlo offrendo un servizio nel coro è fantastico, perché si ha l’opportunità di pregare cantando e far pregare i ragazzi che vengono al Convegno. E’ un esperienza fuori dal comune, perché sei a contatto con ragazzi da tutta Italia, che vedi solo in quei giorni. Al mio ottavo anno di partecipazione a Giovani verso Assisi potrei quasi dire che ho tanti amici nel Convegno quanti ne ho nel mio paese”. Riguardo al tema di quest’anno, posso dire che essere operatori di pace è un bel problema! In altre parole, non è semplice, lo abbiamo capito da questi giorni di riflessione. Ma è un impegno entusiasmante e soprattutto possibile, perché alla scuola di Gesù e di Francesco tutti possiamo essere autentici operatori di pace. Quindi, bisogna solo affidarsi e darsi da fare”.

C’è poi qualcuno che in cuor suo già parte deciso a far seguire una scelta all’esperienza di questi giorni. Monica - 34 anni di Imola – dice: “per quanto mi riguarda, vorrei far fruttare sul lavoro questa esperienza. Ho già cominciato a fare delle scelte in questo senso e spero che abbiano un seguito, con l’impegno in un lavoro che sia di aiuto concreto per gli altri. Leggere il Vangelo può essere facile, ma è certamente impegnativo portarlo e viverlo sul lavoro, che è la realtà che ci impegna di più e in cui spendiamo la maggior parte del nostro tempo ogni giorno. Questo convegno mi ha dato la conferma che le scelte appena fatte sono il meglio per me”.

E come in tutte le partenze, non resta che salutarsi.. E dunque:
a tutti i 2000 giovani di questo 28° Convegno Giovani verso Assisi,
ai 170 frati minori conventuali provenienti da tutte le province italiane
alle 58 suore
ai 5 relatori
agli 84 coristi
ai 18 musicisti
ai 28 volontari della Basilica di San Francesco in Assisi,

Il Signore vi dia la pace!
                                       


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